Zoe ha gli occhi aperti sul mondo

Zoe ha gli occhi aperti sul mondo

giovedì 31 maggio 2012

ALTA QUOTA





Chi di voi maschietti ricorda con esattezza i "3 giorni", ovvero le visite mediche che si effettuavano al compimento del 18mo anno d'età, propedeutiche ad un eventuale arruolamento?
Penso che almeno un vago ricordo vi sia rimasto.
Per quanto mi riguarda, mentre scrivo, si ripropone l'intero scenario e persino diversi volti, incontrati quella volta e poi mai più.

La prima cosa che mi sovviene, sono quelle lunghe, tediose ore passate in attesa di effettuare accertamenti, prelievi di sangue e urine, quiz "tranello"
Infine, un colloquio con un annoiato capitano di turno, di cui parlerò a breve.
Tutte operazioni che si sarebbero potute concludere tranquillamente nell'arco di una giornata ma che, invece - e nessuno capiva il perchè - necessitavano di ben 3 giorni.
A parte l'enorme dispendio (spreco?) di energie, in termini di risorse umane e denaro (alla fine dei 3 giorni, anche se una miseria, ti pagavano pure!), non mi spiegavo quegli interminabili tempi morti tra un'operazione e l'altra, passati a bivaccare seduti su scomode seggiole o, peggio, in piedi, all'interno di squallidi e disadorni stanzoni. 
Oggi, l'unica spiegazione plausibile che riesco a darmi, è che ci volessero far stare insieme per "fraternizzare". Nulla di più probabile, in effetti. Soprattutto perchè il "maschio" è un vero artista nel socializzare e fare gruppo, anzi quadrato, quando la situazione si fa difficile o lo richiede. Questo fenomeno non accade con certezza matematica, ma è abbastanza frequente, ha origini molto lontane e......

Okay, okay, vado al dunque....ma come sei impaziente però!!!!
Io sto ricostruendo roba di 25 anni fa e, se permetti, un pò mi sto divertendo, a fare il bimbo curioso che riapre i cassetti....della memoria.

Dicevamo.....

Il terzo giorno, l'ultimo, dopo adunata e appello, ci stiparono in uno stanzone rettangolare enorme, più grande di tutti gli altri visti in precedenza, ma pur sempre squallido e disadorno, come sembravano essere tutti i locali di quella caserma. 
Dopo circa mezz'ora, alle 8.30 circa, iniziarono a chiamarci: il militare preposto, con fare svogliato ai limiti dello scocciato, ci informò subito che saremmo stati chiamati in ordine di cognome e uno per volta. Divenendo improvvisamente perentorio e autoritario, ci impose di non uscire dalla stanza se non da lui  autorizzati. In caso di impellenti necessità fisiologiche, indicò una porticina posta su uno dei lati più corti del locale.
Seguendo quindi questa regola, chiamarono il primo e lo fecero entrare in una stanza. La porta venne aperta dal militare e si vide chiaramente che la stanza che si trovava al di là, era avvolta da una preoccupante penombra, ai limiti dell'oscurità. 
Non fui l'unico ad accorgermi di questo particolare inquietante e di conseguenza, per alcuni, interminabili minuti, calò il silenzio più totale. 
Io ero immerso nei miei pensieri.
Non sapevo esattamente cosa mi attendesse dentro quella stanza semibuia, ma sapevo per certo che mi avrebbero chiesto se avevo preferenze in merito al corpo militare o arma, tipo marina, esercito.....
Io avevo deciso e non vedevo l'ora di dirlo.
Volevo fare il paracadutista, l'unico corpo che - almeno al tempo - era composto da soli volontari, insieme al Battaglione S.Marco. Quindi, manifestare quella preferenza, avrebbe significato una sola cosa: sarei diventato un parà senza ombra di dubbio.
Il primo della lista, un tipetto basso e magro, con un evidente principio di calvizie (a 18 anni!), uscì dopo circa 15 minuti. Tutti si avventarono su quel ragazzo per sapere e lui, con la sufficienza di chi l'ha scampata, disse laconicamente con forte accento romanesco: "Mah, avemo parlato der quiz che avemo fatto ieri. Poi m' ha fatto vede dee figure e m'ha chiesto cosa vedevo. M'ha puro fatto gioca' con dei cubetti di legno."
Tutto qui?
"Ah, dimenticavo...." riprese "....m'ha detto d'aspettà, che devo parlà co' lo pisicologo....."
Di nuovo il gelo. Qualcosa era andato male. Lo avevano preso forse per pazzo?

Contai rapidamente le persone presenti nel camerone, e notai che eravamo circa una quarantina. Meno persone rispetto al primo giorno, perchè molti vennero riformati o giudicati rivedibili (una sorta di rimandatura all'anno successivo) per infermità o inabilità fisiche. Per inciso, pure io rischiai la riforma, e infatti allungai la mia permanenza di un paio di giorni all'Ospedale Militare del Celio, per un presunto soffio al cuore. Due giorni per fare un'ecocardiogramma e 1 minuto di colloquio con un ufficiale medico...che sentenziò l'assoluta innoquità di quel soffietto congenito (ce l'ho dalla nascita, ma è talmente banale che posso persino fare agonismo).

Tornando al presente (di allora), realizzai che se continuava così, avrei dovuto attendere parecchio, visto il cognome che porto.

Tuttavia, ho un bel ricordo di quelle ore.
Per la prima volta in vita mia, vidi che c'erano tanti, tantissimi ragazzi senza nemmeno la terza media, alcuni quasi analfabeti. Diciottenni che aspettavano già un figlio dalla ragazza del momento. Un concentrato di umanità che nemmeno pensavo esistesse.

Poi, arrivo' il mio turno. E la fatidica domanda che tanto attendevo.
"Paracadusti" risposi tutto fiero.
Il Capitano sgranò gli occhi per un attimo e poi mi chiese il perchè di quella scelta.
Io risposi "Perchè vorrei tanto lasciare che il mio corpo voli libero ad alta quota".
Il Capitano abbassò gli occhiali da presbite e mi guardò in faccia, dritto negli occhi, per alcuni secondi.
Poi prese un foglio, e mi fece firmare l'accettazione volontaria al corpo dei paracadutisti.

Ma poi, il coraggio di continuare, oltre quella semplice firma, non l'ho più trovato e con lui, quella tanto desiderata alta quota.






giovedì 24 maggio 2012

L'IMPORTANZA DI CHIAMARSI HERMANO



Ti ricordi quando mi chiamavi "hermano"?
E' passato molto tempo, ma non ho dimenticato.

Ti scrivo perchè questa sera una persona a me molto cara, e questo termine è spaventosamente riduttivo, ha chiuso una conversazione chiamandomi "hermano".

La differenza, e la conseguente importanza, è fatta di una moltitudine di cose.

L'essere complici, sempre tacitamente d'accordo.
Sentirsi vicini, anche a centinaia di km di distanza. 
Anche quando non ci si sente per mesi.

E' difficile, raro, quasi unico.
Non si pretende nulla, mai.
Non ci sono prove, nè esami da superare.
Mai sotto giudizio.

Si dà, ma solo quando si sente di poter dare, per davvero e non per convenzione.

Stare insieme, è' una costante sensazione di benessere.
E' un flusso magico, che non si arresta mai, per nessuna ragione.

Questo,  per me, vuol dire essere "hermano".


Zoe



DOLCETTO .....O SCHERZETTO?



Sarò breve, anzi brevissimo.
Solo perchè mi sembrava giusto dire che il post precedente, intitolato "CI VORREBBE UN AMICO", era solo un contro-scherzo.....che ha funzionato dove doveva funzionare.

Uso l'unica arma che ho: le parole. 
Meditate, gente, meditate!!!

Buonanotte a tutti!




domenica 20 maggio 2012

CI VORREBBE UN AMICO


....per poterti dimenticare,
ci vorrebbe un amico
per dimenticare il male,
ci vorrebbe un amico
qui per sempre al mio fianco,
ci vorrebbe un amico
nel dolore e nel rimpianto.
Amore, amore illogico, amore disperato,
lo vedi sto piangendo, ma io ti ho perdonato. 

Così cantava Venditti, più o meno una trentina di anni fa. 
Non amo Antonello, lo trovo ripetitivo negli arrangiamenti, ma devo ammettere che qualche testo è molto buono.

Nella canzone, il cantautore romano parla di perdono, amicizia, dolore e amore.
E di questo discuteremo stasera, con particolare attenzione al dolore, sgradevole sentimento che alcune persone - ritenute vere amiche - hanno generato in me poche ore fa.

Non la farò lunga. Mi concentrerò solo su come il sole si è trasformato in luna e proverò a spiegare il perchè.

Giusto qualche giorno fa, avevo appreso una notizia che mi aveva colpito, tanto da scrivere un blog, l'ultimo per la precisione (Mai dire mai - Parte seconda). 
Il contenuto della novella, mi aveva coinvolto a tal punto, che mi sono spesso ritrovato ad indugiare nel pensiero, anche sul lavoro, dove di solito non mi trastullo con divagazioni riguardanti la vita privata. 
Strano ma vero.....si, ma cosa è successo??
In breve, una coppia di miei amici - parlo di una roba di almeno dieci anni di conoscenza o forse più - avevano sorpassato quella che definisco "La linea rossa" ed erano quindi giunti...... a esplorare la loro intimità.
Non racconto i dettagli, troppo lungo. C'è solo una cosa che conta: ho sofferto, pensando che uno di loro magari non accettava quel limite oltrepassato e l'altro, forse, ne avrebbe subito la principale conseguenza, ovvero il possibile allontanamento. 
Che peccato, pensavo....e speravo con tutto me stesso che ciò non accadesse.

Altri soggetti, anch'essi ritenuti amici, apparivano sul palcoscenico.
Commentavano e vivevano quell'insolita notizia nei modi più disparati.
Poi, Venerdì sera, l'ultimo atto: uno degli attori della commedia si decide a chiudere il sipario. 
Non era vero nulla. Era tutto un semplice scherzo.

Lì per lì, ho sorriso e persino fatto i complimenti ad ognuno di loro, perchè erano stati perfetti. 
Sms, discorsi su facebook, recitazioni dal vivo. 
Bastardi ma perfetti.
E quindi, alla fine della serata, via a dormire, non senza aver brindato alla commedia ben riuscita.
Passa il Sabato, arriva la Domenica.
Sento una delle mie più care amiche, alla quale avevo parlato della cosa, conoscendo la sua riservatezza. Le racconto dello scherzo, anzi della commedia, perfino esaltando la bravura degli attori.
Dopo un breve attimo di silenzio, mi dice: "E cosa ci avrebbero trovato di tanto divertente a farti uno scherzo così?"....
Ancora silenzio, questa volta per alcuni secondi, poi lei riprende: "Boh, a me non fa tanto ridere. Ma va bene dai, ci sei cascato come un polletto, povero cici mio...."
Sono un polletto......

Ecco cosa pensano di me: l'ultimo dei nerds, uno che reputa plausibile una cosa che, a pensarci bene, era proprio assurda e a cui nessuno avrebbe mai creduto. 
Rimugino e valuto il fatto che l'unica persona che non hanno coinvolto è stato Alessandro, il mio migliore amico. 
Perchè sapevano che lui non avrebbe partecipato, non avrebbe mai voluto partecipare.

E' proprio così, sapete?
Io bevo tutto quello che mi passano le (poche) persone che amo. Semplicemente perchè penso che non metterebbero mai il veleno nel mio bicchiere.
Quindi bevo ancora e berrò sempre.

Non da voi però, mai più.



Non dire no,
riempi un altro bicchiere amico
e non dire no se non riesco a tacere 
dammi tutto, tutto 
non dire no amico, non dire no..... 


ZOE KIPLING







giovedì 17 maggio 2012

MAI DIRE MAI - PARTE SECONDA



Non avrei MAI pensato di riprendere questo post così vecchio.

Forse perchè è il post numero 17 e oggi è il 17 Maggio.
Forse perchè ho passato una bella serata con una delle persone a cui tengo di più, senza ancora capire bene il perchè.
Forse è solo perchè ho sonno.

Dopo 43 anni suonati, qualche giorno fa ho visto - anzi - ho appreso una notizia. 
E' crollato un altro MAI. Nulla di grave, però ci penso spesso.
So che passerà, ma ora non riesco.......

Passerà.....

Non so se interessa a qualcuno, però MAI DIRE MAI è il post che amo di più in assoluto.

Lo avresti MAI detto? Beh, se non ti spieghi il perchè, vuol dire che non mi conosci abbastanza....

Ahung...(sbadiglio)

Buonanotte

Zoe

martedì 15 maggio 2012

MILLE LIRE AL MESE


Ottobre 1940

Mussolini entrò in guerra ufficialmente il 10 Giugno, calcolando un imminente trionfo tedesco, a cui accodarsi con il minimo sforzo. 
Il Duce, infatti, stava assistendo ormai da un anno ai trionfi del Fuhrer, senza muovere un dito. Lui sapeva di essere totalmente impreparato a sostenere uno sforzo bellico ed era un uomo intelligente. Ma circondato da avidi consiglieri senza scrupoli, che alla fine lo convinsero a non farsi sfuggire quel pezzo di torta così invitante. E, quel terribile esercito teutonico, era ormai alle porte, ai confini, avendo annesso l'Austria.
Bisognava decidere e fu deciso.

Il milione di baionette, venne messo subito alla prova il 18 Giugno, sferrando un attacco alla Francia già in ginocchio. 
Una pugnalata alla schiena di un moribondo, ebbe a dire il presidente americano Roosvelt. Ma l'attacco andò male e l'esercito italiano mostrò subito la sua impreparazione, demotivazione e debolezza, riportando perdite e praticamente nessun progresso. 
In aggiunta, un terzo della flotta mercantile italiana fu annientata in un colpo solo, pochi giorni prima: semplicemente non era stata ritirata per tempo dai porti delle nazioni ora divenute ostili. 
Per finire, il porto militare e mercantile più importante del Mediterraneo, Genova, fu pesantemente bombardato dalle marine francesi e inglesi.
Un disastro. 
In un paio di settimane appena, Mussolini fece capire al mondo intero - e soprattutto a Hitler - la sua penosa debolezza. 
La propaganda ebbe un bel faticare per nascondere quei fallimenti così imponenti. La maggior parte della gente comune, si cibava di quotidiani di regime, notiziari radio e pellicole dell'Istituto Luce. E per questo motivo rimaneva all'oscuro di tutto.
Ma Giuseppe Bottini aveva mantenuto i suoi canali informativi, per lo più tramite vecchi buoni amici rimasti nella milizia fascista e, in qualche modo, riusciva sempre a sapere la verità.
Le notizie dal fronte arrivavano contraffatte dal censore ma, in compenso, dai campi di battaglia tornavano centinaia di bare e migliaia di corpi mutilati.

Erano passati solo tre mesi dall'inizio del conflitto, e già si sentivano i primi influssi negativi.
Nonostante i proclami del regime, in realtà chi vinceva e conquistava era Hitler. Mussolini, di contro, apparve subito quel gregario pasticcione che non segna nemmeno un punto. 

Il malumore serpeggiava silente e le prime restrizioni economiche arrivarono puntuali a fargli compagnia.
Senza alcun preavviso, le famiglie italiane iniziarono a veder richiamare i propri figli a "servire la patria", ma faticavano a comprendere pienamente il perchè di un sacrificio non atteso e soprattutto non voluto.
L'Italia voleva la pace e la prosperità, non la guerra. Il paese aveva bisogno di pane, non di cannoni, tantomeno di morti.

I prezzi delle materie prime e dei beni di largo consumo (come pane, pasta, latte...), schizzarano immediatamente verso l'alto. Alcuni beni, che costavano già molto per una famiglia media, divennero velocemente proibitivi.
All'improvviso, le tanto desiderate 1000 lire al mese, che corrispondevano prima della guerra al salario di due operai, sembravano non più sufficienti a garantire una vita dignitosa.

Per la prima volta in vita sua, Giuseppe vide i suoi ormai anziani genitori fare di conto, armati di lapis e carta. Quasi ogni giorno. E una sera, li sentì discutere sulla governante, oramai una di famiglia, dopo tanti anni: non l'avrebbero più potuta mantenere, a meno che non si fosse accontentata di solo vitto e alloggio. Per il momento.

Giuseppe avrebbe voluto fuggire, da quello che si prospettava divenire un inferno. Ma non sapeva come fare e, soprattutto, dove andare.
Il Regio Esercito Italiano si presentò in guerra impreparato e poco equipaggiato.
Hitler, invece. aveva inizialmente a disposizione meno di un milione di combattenti, ma pronti a morire per lui.
Erano così motivati,veloci e ben organizzati, che erano capaci di vincere anche quando il nemico era in sovrannumero.



lunedì 14 maggio 2012

A COSA SERVE?


A cosa serve....

Superare l'ultima macchina in fila, se ti fermi dieci metri più avanti?
Sognare di possedere quello che appartiene ad altri, se non sai nemmeno cosa già è tuo?
Sforzarti di essere il primo, se non eri stato invitato alla gara?
Urlare, se nessuno ti ascolta?
Piangere, se nessuno ti aiuta ad asciugare le lacrime?
Cercare la felicità, se poi non sei capace di riconoscerla, quando la incontri?
Tentare di dimenticare?
Tanto nulla si può insabbiare. 
E se ci provi, 
per quanto profonda sia la buca che hai scavato,
arriverà la pioggia,
che con pazienza,
riporterà tutto alla luce.

Zoe

sabato 12 maggio 2012

VINCERE!

Roma, 10 Giugno 1940



Una folla mesta e silenziosa sgomberava ordinatamente la sala del maestoso Cinema Impero, realizzato in perfetto stile fascista solo pochi anni prima.
Quella gente, aveva appena finito di ascoltare il filmato dell’ Istituto Luce che riportava la dichiarazione di guerra a Francia e Inghilterra. Dichiarazione proclamata da Mussolini poche ore prima, dal solito balcone e di fronte alla solita moltidudine festante di persone.
Probabilmente, a Roma, nessun adulto era riuscito a sfuggire alle adunate fasciste. E, sempre a Roma, nessuno credeva più che quel delirio di ovazioni fosse del tutto spontaneo e sincero.
Tutto era sempre organizzato per sembrare reale. 
In genere, la milizia si occupava dell’organizzazione, fin nei minimi dettagli.
Mobilitava le masse, anche le più riluttanti, tramite una capillare struttura paramilitare, che agiva praticamente casa per casa. Forniva i cartelli inneggianti al Duce o a qualsiasi cosa andasse a genio al regime, persino i fazzoletti bianchi da sventolare. 
Una volta radunata la popolazione in Piazza Venezia, i miliziani si posizionavano tra la gente, in centinaia di punti strategici, di modo che nessuno sfuggisse alla vista. 
Infine,  si preoccupavano di gestire l’ovazione, che doveva partire sempre al momento opportuno e, naturalmente, all’unisono.

I romani, Giuseppe Bottini incluso, ben sapevano che era tutta una messa in scena: i fazzoletti, i cartelli, le urla di giubilo, i sorrisi e l’eccitazione dei partecipanti all’adunata. Ma sapevano anche che quello stesso filmato sarebbe stato proiettato in centinaia, forse migliaia, di altre sale, sparpagliate per lo stivale italiano. E che avrebbe avuto un effetto totalmente differente.
La propaganda di regime aveva raggiunto livelli molto elevati di sofisticazione e il popolo italiano ne aveva subito l’influenza, sempre più pesante, anno  dopo anno.

Mentre pensava queste cose, Giuseppe usciva dalla sala del Cinema Impero, all'aperto, e prese a camminare verso casa, percorrendo Via dell’Acqua Bullicante.
Stava iniziando a piovere. E avrebbe piovuto a lungo, negli anni a venire.

Mussolini dichiara guerra a Francia ed Inghilterra.
 

IDIOTA





 
Questa sera, ecco a te la proposta: il testo di un'altra canzone. Contenuti diversi rispetto al penultimo post, ma l'autore non cambia, è di nuovo Daniele Silvestri.

Poesia, che s'intitola proprio "Idiota". 
La dedicherei in primis a me stesso, ma anche a tutti coloro che, mentre assorbono le parole, di tanto in tanto si dicono: Cazzo, sono un idiota!
Buona lettura e, soprattutto, buon pensiero.

Cazzo sono un idiota......
ma come ho fatto a non accorgermi prima
dovevo proprio avere gli occhi bendati
per non vedere tutti i giorni passati,
sprecati, buttati
consacrati al niente
a quel continuo trastullarsi della mente
escogitando ogni nuovo espediente
per ripromettersi sempre la mattina seguente
la stessa carota.....


Cazzo sono un idiota!
ma come ho fatto a non accorgermi in tempo
che il mondo si stava trasformando
mentre invecchiavo non mi stava aspettando
del resto lui non ha mai atteso nessuno
non sono il primo che si sveglia in ritardo,
tossendo
nel fumo di un locale notturno
tavoli da biliardo e il cantante di turno
che giudico già da una nota 


Sono un idiota,
ma come ho fatto a non sentire i messaggi
quelli che i saggi hanno voluto lasciare
e che non erano bottiglie nel mare
ma storie canzoni, dipinti, parole anche se non le ho mai trovate da sole
ma come ho fatto a non distinguerle al volo
non mi consolo pensando al domani
se adesso sul piano le mani le muovo
ma la testa è vuota 

Tardi tardi tardi è troppo tardi
e non mi bastano i ricordi
quando si diventa sordi
l'emozione non si sente più
Tardi tardi tardi è troppo tardi
ci sono troppi sprechi
quando si diventa ciechi
la passione non si trova più


Cazzo sono un idiota!
ho dato tempo al cuore di consumarsi
ma come mai la mia coscienza dormiva?
è la catarsi, quella televisiva
che ti libera e priva delle tue preoccupazioni
e delle tue riflessioni se non ti sai dominare
e non ci sono istruzioni da usare
sono solo evasioni
non si prevedono istruzioni per l'uso


Cazzo sono deluso....
e mi vergogno di ogni fiamma che ho spento
del primo fuoco che bruciava nel cuore
e non è vero che non era il momento,
che c'è sempre del tempo
e che la fiamma non muore, no
non è vero se ora quello che sento
è poco più di un tepore
e non mi basta pensare al domani
se ho le mani piene di penne, carta, colori
ma la testa è vuota.....


Tardi tardi tardi è troppo tardi
e non mi bastano i ricordi,
quando si diventa sordi
l'emozione non si sente più.....
Tardi tardi tardi è troppo tardi
ci sono stati troppi sprechi
quando si diventa ciechi
la passione non si trova più

 
Cazzo sono un idiota!
ma come ho fatto a non capire che i danni
li avrei pagati tutti pesantemente
chi mi ha insegnato a dire sempre: "la gente"
a pensarmi differente,
a chiamarmi fuori,
come se non facessi anch'io quegli errori,
gli stessi
peggiori perfino se guardo al mio ruolo
che sono solo un passeggero del volo


e mi credevo pilota......


(Lyrics by D.Silvestri)

lunedì 7 maggio 2012

SCALA REALE



L’argomento di questa sera (meglio sarebbe dire il “pensiero randomico”) è il gioco del Poker.


Scala Reale
Ti sei mai chiesto perchè il Poker non si chiami, invece, Scala Reale?
Può sembrare una domanda banale e forse lo è. Eppure, mi sono interrogato spesso su questo tema.
Naturalmente, il fatto che io mi sia posto un quesito, non è “indice di profondità” dell’argomento. Sono presuntuoso, di sicuro più di quanto riesca ad accorgermi, ma non fino a questo punto......o almeno spero! (Smettila di ridere a crepapelle!!!)

Non amo giocare a carte.
Se mi propongono una partita a briscola o una “scopetta”, declino educatamente l’invito.
Primo, sono una schiappa. Secondo, mi annoio.
Scopone scientifico e scala 40, possono tentarmi solo se mi gira bene.
Ma al poker non so dire di no, soprattutto se si gioca “a soldi”. E’ per questo che lo “assumo” a piccole dosi.

Mamma mia quante virgolette sto usando! Ma continuiamo, perchè ci sto girando intorno e vorrei arrivare al dunque.

Non so dire di no al poker perchè non è un gioco di carte e non si può giocare a coppie.
Sei tu, solo contro gli altri.

E’ una sfida, prima di tutto con te stesso e tutti i tuoi limiti mentali.
E’ una battaglia psicologica, che può durare ore, persino una notte intera. Perchè il poker si gioca solo dopo il calar del sole, rigorosamente.

Lo chiamano gioco d’azzardo.
E’ vero, ma fino ad un certo punto.
Il poker dipende solo dal tuo essere, da come realmente sei dentro.
Nient’altro.

Se non hai paura di nulla, se sei coraggioso fino ai limiti dell’incoscienza e l’ignoto ti stimola, ti affascina, ti si riconosce subito: giochi al buio, punti anche se non hai nemmeno una coppia di 7, sei freddo come il ghiaccio, partecipi solo per vincere.
Se sei un camaleonte, cambi colore senza preavviso e non si capisce mai chi sei veramente. Sei pericoloso e vulnerabile allo stesso tempo.
Se sei un curioso, la cosa più importante per te è vedere cosa ha in mano l’altro. Perdere o vincere è solo un dettaglio, che non riduce il tuo divertimento. A te piace scoprire, punto.
Se sei un meticoloso, un chirurgo, osservi qualunque cosa e memorizzi.
Scruti ogni movimento intorno a te. Da come gli altri prendono le carte appena cambiate, all’espressione del loro viso quando scoprono, perfino il timbro della voce non ti sfugge.  E così facendo, piano piano, con pazienza infinita, costruisci il disegno dei tuoi avversari, con l’unico fine di annientarli. Il tuo unico nemico è il tempo a disposizione.
Se sei un prudente, vai oltre solo se reputi ne valga realmente la pena. Mentre giochi, il tuo cervello elabora incessantemente migliaia di informazioni. Di solito, sei uno che non pretende di vincere per forza, ma perdere tutto non ti andrebbe giù, proprio no.
Se hai paura, il poker non fa per te. Semplicemente.

Coraggiosi, incoscienti, camaleonti, curiosi, meticolosi, prudenti, pavidi.
Giocatori, ma prima di tutto esseri umani. 
Il genere umano che si manifesta.

Il poker mi piace perchè sembra il gioco della vita, dove la sorte conta solo fino ad un certo punto. Dove non vince il più forte, o il più veloce, o il più preparato, ma solo colui che pensa di poter vincere, ardentemente, con costanza, dalla prima mano all’ultima.
Quando tutti sono a pezzi, l’orologio segna le sei del mattino, il vino è finito e pure l’ultima sigaretta disponibile, vince chi ha tenuto e ci ha creduto fino all’ultimo.

Sto alla larga dal poker, per quanto posso.
Ma quando ci diamo la mano, alla fine della partita, mi sento felice anche quando perdo. Perchè so di aver dato il meglio di me e di essere stato battuto non dalla sfortuna, ma da colui o colei che ha retto fino alla fine.

Spesso mi chiedo perchè questo “gioco” si chiami così, quando il punto più alto che puoi realizzare non si chiama POKER, ma SCALA REALE.
Chissà.....

Però, credimi, l’emozione di vedere quei 4 assi in fila è veramente impareggiabile.

Zoe


Un emozionante Poker d'assi