Chi di voi maschietti ricorda con esattezza i "3 giorni", ovvero le visite mediche che si effettuavano al compimento del 18mo anno d'età, propedeutiche ad un eventuale arruolamento?
Penso che almeno un vago ricordo vi sia rimasto.
Per quanto mi riguarda, mentre scrivo, si ripropone l'intero scenario e persino diversi volti, incontrati quella volta e poi mai più.
La prima cosa che mi sovviene, sono quelle lunghe, tediose ore passate in attesa di effettuare accertamenti, prelievi di sangue e urine, quiz "tranello"
Infine, un colloquio con un annoiato capitano di turno, di cui parlerò a breve.
Tutte operazioni che si sarebbero potute concludere tranquillamente nell'arco di una giornata ma che, invece - e nessuno capiva il perchè - necessitavano di ben 3 giorni.
A parte l'enorme dispendio (spreco?) di energie, in termini di risorse umane e denaro (alla fine dei 3 giorni, anche se una miseria, ti pagavano pure!), non mi spiegavo quegli interminabili tempi morti tra un'operazione e l'altra, passati a bivaccare seduti su scomode seggiole o, peggio, in piedi, all'interno di squallidi e disadorni stanzoni.
Oggi, l'unica spiegazione plausibile che riesco a darmi, è che ci volessero far stare insieme per "fraternizzare". Nulla di più probabile, in effetti. Soprattutto perchè il "maschio" è un vero artista nel socializzare e fare gruppo, anzi quadrato, quando la situazione si fa difficile o lo richiede. Questo fenomeno non accade con certezza matematica, ma è abbastanza frequente, ha origini molto lontane e......
Okay, okay, vado al dunque....ma come sei impaziente però!!!!
Io sto ricostruendo roba di 25 anni fa e, se permetti, un pò mi sto divertendo, a fare il bimbo curioso che riapre i cassetti....della memoria.
Dicevamo.....
Il terzo giorno, l'ultimo, dopo adunata e appello, ci stiparono in uno stanzone rettangolare enorme, più grande di tutti gli altri visti in precedenza, ma pur sempre squallido e disadorno, come sembravano essere tutti i locali di quella caserma.
Dopo circa mezz'ora, alle 8.30 circa, iniziarono a chiamarci: il militare preposto, con fare svogliato ai limiti dello scocciato, ci informò subito che saremmo stati chiamati in ordine di cognome e uno per volta. Divenendo improvvisamente perentorio e autoritario, ci impose di non uscire dalla stanza se non da lui autorizzati. In caso di impellenti necessità fisiologiche, indicò una porticina posta su uno dei lati più corti del locale.
Seguendo quindi questa regola, chiamarono il primo e lo fecero entrare in una stanza. La porta venne aperta dal militare e si vide chiaramente che la stanza che si trovava al di là, era avvolta da una preoccupante penombra, ai limiti dell'oscurità.
Non fui l'unico ad accorgermi di questo particolare inquietante e di conseguenza, per alcuni, interminabili minuti, calò il silenzio più totale.
Io ero immerso nei miei pensieri.
Non sapevo esattamente cosa mi attendesse dentro quella stanza semibuia, ma sapevo per certo che mi avrebbero chiesto se avevo preferenze in merito al corpo militare o arma, tipo marina, esercito.....
Io avevo deciso e non vedevo l'ora di dirlo.
Volevo fare il paracadutista, l'unico corpo che - almeno al tempo - era composto da soli volontari, insieme al Battaglione S.Marco. Quindi, manifestare quella preferenza, avrebbe significato una sola cosa: sarei diventato un parà senza ombra di dubbio.
Il primo della lista, un tipetto basso e magro, con un evidente principio di calvizie (a 18 anni!), uscì dopo circa 15 minuti. Tutti si avventarono su quel ragazzo per sapere e lui, con la sufficienza di chi l'ha scampata, disse laconicamente con forte accento romanesco: "Mah, avemo parlato der quiz che avemo fatto ieri. Poi m' ha fatto vede dee figure e m'ha chiesto cosa vedevo. M'ha puro fatto gioca' con dei cubetti di legno."
Tutto qui?
"Ah, dimenticavo...." riprese "....m'ha detto d'aspettà, che devo parlà co' lo pisicologo....."
Di nuovo il gelo. Qualcosa era andato male. Lo avevano preso forse per pazzo?
Contai rapidamente le persone presenti nel camerone, e notai che eravamo circa una quarantina. Meno persone rispetto al primo giorno, perchè molti vennero riformati o giudicati rivedibili (una sorta di rimandatura all'anno successivo) per infermità o inabilità fisiche. Per inciso, pure io rischiai la riforma, e infatti allungai la mia permanenza di un paio di giorni all'Ospedale Militare del Celio, per un presunto soffio al cuore. Due giorni per fare un'ecocardiogramma e 1 minuto di colloquio con un ufficiale medico...che sentenziò l'assoluta innoquità di quel soffietto congenito (ce l'ho dalla nascita, ma è talmente banale che posso persino fare agonismo).
Tornando al presente (di allora), realizzai che se continuava così, avrei dovuto attendere parecchio, visto il cognome che porto.
Tuttavia, ho un bel ricordo di quelle ore.
Per la prima volta in vita mia, vidi che c'erano tanti, tantissimi ragazzi senza nemmeno la terza media, alcuni quasi analfabeti. Diciottenni che aspettavano già un figlio dalla ragazza del momento. Un concentrato di umanità che nemmeno pensavo esistesse.
Poi, arrivo' il mio turno. E la fatidica domanda che tanto attendevo.
"Paracadusti" risposi tutto fiero.
Il Capitano sgranò gli occhi per un attimo e poi mi chiese il perchè di quella scelta.
Io risposi "Perchè vorrei tanto lasciare che il mio corpo voli libero ad alta quota".
Il Capitano abbassò gli occhiali da presbite e mi guardò in faccia, dritto negli occhi, per alcuni secondi.
Poi prese un foglio, e mi fece firmare l'accettazione volontaria al corpo dei paracadutisti.
Ma poi, il coraggio di continuare, oltre quella semplice firma, non l'ho più trovato e con lui, quella tanto desiderata alta quota.