Zoe ha gli occhi aperti sul mondo

Zoe ha gli occhi aperti sul mondo

lunedì 27 febbraio 2012

AVANZO O ARRETRO?



 
Per il momento Zoe non si è ancora dato una risposta. 
Ma in questi ultimi giorni la domanda se l’è posta più di una volta. 
Eccome.

Il blog è stato come una piccola avventura mediatica che lo ha coinvolto, appassionato, alcune volte persino eccitato.
Te lo ricordi?
Tutto è iniziato durante un banale “fermo tecnico”, causato da un febbrone da cavallo.
Il resto è venuto un pò per caso ma, a ben pensarci, solo un pò.
Passione ritrovata per la scrittura e piacere di raccontare storie ad una platea di amici immaginari, di cui è quasi impossibile distinguerne il volto, avvolti come sono da una imbarazzante oscurità.
Con una differenza rispetto al passato: questa volta Zoe aveva finalmente il coraggio di parlare di se, senza paure, filtri, barriere.
Non lo aveva mai fatto prima e, post dopo post, ci stava quasi prendendo gusto.
Tanti lettori, più o meno occulti, lo stavano seguendo. Aspettavano il suo racconto che, puntualmente, arrivava ogni sera.
Zoe era felice di tutto questo.
Le sue parole stimolavano il pensiero, le fantasie più diverse, proprio quello che desiderava.
Che presunzione però, questo Zoe.....
Finchè, dopo circa un mese, così come è partito, allo stesso modo il meccanismo si arresta, senza un evidente perchè.
Nessuno visita più la casa di Zoe e Zoe smette di scrivere.

Zoe non ha più idee, è forse così?
No, non è questa la verità.
Alcuni sanno che avrebbe ancora milioni di cose da dire, Zoe.
Ma, per farlo, ha bisogno di quel coraggio che – quello si – sta venendo meno.
Zoe sa perfettamente che ci vuole un bel pò di fegato per andare avanti e la facile prospettiva di arretrare lo tenta molto.
Arretrare è facile, avanzare è difficile.
Soprattutto perchè, forse, Zoe sta perdendo qualcosa per strada senza accorgersene, qualcosa a cui dovrebbe tenere di più.

Buonanotte Bro

Zoe

Ritrovare le cose smarrite, per poi richiuderle di nuovo nel cuore
 

martedì 21 febbraio 2012

SPAZI VUOTI


Alla ricerca del confortante nulla


Zoe raccoglie rapidamente le  poche cose personali, ovvero un pc, un quadernetto a righe e una penna a sfera mezza sbilenca.
Altrettanto in fretta abbandona la stanza, oramai deserta, dove ha visto consumarsi la sua disfatta.
Zoe aveva perso l’abitudine alla sconfitta ma, questa volta, qualcosa è andato storto.
Zoe sa bene che è solo colpa sua se è andata così. 
Ma lo deve ammettere, non deve mentire a se stesso. Era arrivato sul campo di battaglia scarico e poco concentrato ma, soprattutto, con la presunzione di poter vincere senza sforzi.
Destinato a perdere.


In uno stato di trance, Zoe raggiunge il suo ufficio, che poi è poco più di un box attrezzato, e getta bruscamente sulla scrivania gli oggetti tiene in mano.
Infila il cappotto alla bell’e meglio e si dirige veloce verso gli ascensori con passo nervoso.

Mentre raggiunge l’uscita del palazzo che ospita la sua azienda, Zoe sta bene attento a mantenere lo sguardo fisso verso il pavimento, per non correre il rischio di incrociare sguardi curiosi e indiscreti.
Sente di avere un’espressione di merda che non gli appartiene e proprio non sopporta l’idea che altri la vedano.
Non accetterebbe mai che estranei individui si possano cibare del suo corpo di animale ferito.
Perchè è proprio così che si sente Zoe adesso.
Un antilope sfuggita miracolosamente al felino carnefice, che sa di essere stata morsa più volte, quasi a morte.
E’ debole, vulnerabile.
Deve raggiungere al più presto un luogo protetto per curare le piaghe e raccogliere le idee.

E così, Zoe parte alla ricerca di quel confortante nulla, che tanto gli è amico nei momenti più duri.
Un luogo di cui solo lui conosce le coordinate.
Un luogo che esiste, ma non c'è.
Dove - forse - capirà i suoi errori e acquisirà la consapevolezza.
Dove troverà la forza per continuare a correre.
Se ne avrà voglia.
Dobbiamo necessariamente correre?



 Zoe

lunedì 20 febbraio 2012

VOCI




Nell’ormai lontano 2003, spinto da formidabili pressioni, decisi di iniziare la ricerca di una casa editrice che potesse pubblicare un mio modesto scritto.
Lo reputavo un romanzetto di poche pretese, anche se ero consapevole di averci messo tutto me stesso. Ma alcuni cari amici e persino la mia ex moglie non erano assolutamente dello stesso parere. E quindi, fu così che, incoraggiato e sostenuto da uno sparuto pubblico di estimatori, poco meno di dieci anni fa, iniziai quella che si rivelò presto una faticosa avventura.
Iniziai scaricando tutto il database di case editrici operanti in Italia, per avere un quadro completo, e subito rimasi sorpreso dal considerevole numero di aziende, di tutte le dimensioni, che avevano scelto di calcare il campo dell’editoria.
Ritenendo il mio romanzetto un testo con evidenti influssi cyberpunk, quindi un pochino (ma giusto un pochino....) di nicchia, scartai da subito le case più blasonate e iniziai a selezionare solo quegli editori potenzialmente interessati al genere.
Raccolti quindi una trentina di nominativi giudicati interessanti, iniziai a spedire il manoscritto in ogni dove.
Forse non molti sanno che in Italia non esiste un vero e proprio diritto di autore. Non lo sapevo nemmeno io, in realtà.
Nel Bel Paese, infatti, puoi brevettare un’opera dell’ingegno con una certa facilità. 
Ma se scrivi qualcosa, l’unica cosa che puoi fare per tutelarti – e quindi far sì che nessuno se ne appropri indebitamente – è registrarti alla SIAE, il tutto per pochi spicci. 
Pochi quattrini, poca garanzia, purtroppo. 
Se invece hai la fortuna di fare un contratto di editing e poi pubblichi, allora scatta il tanto agognato copyright. Solo da quel momento nessuno ti può più copiare.
In ogni caso, documentandomi su internet, compresi che tra le case editrici esiste un codice di buona condotta non scritto ma, a quanto pare, rispettato. In sintesi, nessuno si appropria del tuo testo, se poi decide di non pubblicarlo.
Insomma, per farla breve, dopo poco tempo inizio ad essere contattato da alcuni sedicenti editori, a cui avevo inviato la missiva carica di speranze.
Puoi immaginare l’emozione che ho provato la prima volta.
Purtroppo di brevissima durata.  
Dopo pochi minuti, infatti, il millantato editore-mecenate si rivelava per quello che era realmente: una sorta di tipografia specializzata, che si offriva di stampare il libro, totalmente a mie spese, comprensive di un margine per lui, naturalmente. Sapevo di questo pericolo ma, fino a quando non mi ci sono trovato di fronte, non l’avevo considerato.
Dopo almeno altri tre, forse quattro, contatti di simil bassa fattura, e quando ormai era passato del tempo e con esso ogni speranza, ricevetti una telefonata diversa.
La casa editrice questa volta aveva una rassicurante voce femminile e si qualificò da subito come medio-piccola. Dopo un breve colloquio, in cui non uscì alcun discorso economico, mi fu proposto di incontrare l’editore in persona.
Accettai incuriosito, anche perchè il nome della casa mi era ben noto, a differenza delle altre cui avevo improvvidamente mandato il manoscritto.
Ci fu un lungo negoziato sulle condizioni economiche, ma alla fine la proposta mi piacque. Soprattutto mi piacquero le persone.
E così, dopo circa un anno di revisioni e di editing, prese vita il mio piccolo romanzo di circa centotrenta pagine.
Fu un emozione immensa, credimi, trovare il mio romanzo sugli scaffali di mostri sacri come Feltrinelli e Mondadori.
Chiedere ad un libraio, solo per gioco:”Avete un certo qual libro?” e magari sentirsi rispondere di no, ma che si poteva serenamente ordinare, che era in catalogo.....
Vedere una decina di siti che propongono il tuo piccolo mostriciattolo in vendita.
E infine.........
Eccomi di nuovo qui, solo per dirti che....

Ho ascoltato le mie voci, quella volta.
Voci che mi dicevano di osare e di non avere paura.
Quelle voci che troppo spesso ammutolisco o al cui richiamo sono sordo.

E tu?
Quante volte hai dato veramente ascolto alle tue voci?
Quante volte ti sei detto che sarebbe stato più giusto, che sarebbe stato meglio....?






Voices, I hear voices
in my head the voice is waiting
waiting for me to set it free
I locked it inside my imagination
but I'm the one
who's got the combination
Some people didn't like
what the voice did say so
I took the voice and I locked it away
I got the key, I got the key.....

(Voices - Russ Ballard) 

domenica 19 febbraio 2012

I CAN SHINE EVEN IN THE DARKNESS

Thanks to Writing Addicted for the inspiration. 
(For fun and more, go to valentinacarrabino.blogspot.com)





Io posso volare,
ma voglio le sue ali.
Io posso brillare,
anche nell'oscurità. 
Ma invidio la luce che emana,
felice nelle canzoni che canta
Il mio angelo Gabriel

Io posso amare,

ma ho bisogno del suo cuore.
Io sono forte anche da sola,
ma da lui non voglio mai separarmi. 
E' stato qui da sempre
Il mio angelo Gabriel

mercoledì 15 febbraio 2012

IL BIVIO

Il cambiamento è una delle poche certezze che abbiamo.

Ciao amico mio, buona sera amica mia.

E' il Blog in persona che ti parla.
Forse non lo sai, ma oggi compio un mese.
Per l'occasione, vorrei donarti un modesto presente.
Un piccolo pensiero in verità.
Una storia che auspico troverai il tempo leggere e, spero, di assaporare, visto che non è definibile come "breve".....
Il pezzo che segue, è tratto da un libro che non ha trovato mai il coraggio di vedere la luce. Il perchè bisognerebbe chiederlo all'autore.
In attesa di tue,
ti auguro Buonanotte (o Buongiorno?)

Mi dirigo all’appuntamento, provando una strana sensazione che al momento non riesco a definire. Però, è come se avessi la consapevolezza di fare qualcosa di proibito o, perlomeno, inopportuno.
La cosa in fondo mi diverte e sembra dare un senso ad una misera giornata.
Arrivo alla piattaforma di attracco e noto subito una folla enorme, ordinata in file, a seconda della destinazione. Blocco albanese, blocco curdo, blocco russo….ecco, blocco italiano, il mio.
Mi metto in fila anche io, iniziando a guardarmi intorno e a chiedermi come avrei fatto a riconoscere la donna. Non mi resta che attendere che si faccia viva lei.
“Non ti voltare, non parlare, limitati ad ascoltare”.
Una voce femminile, sibila alle mie spalle, con l’effetto di una rasoiata sulla schiena.
“ Prendiamo insieme la navetta” riprende la voce “ io occuperò il sedile dietro il tuo. Poi, scenderò alla tua fermata e faremo due passi. Qui, purtroppo, non possiamo fare altro, potremmo essere controllati”.
Chi è questa squilibrata? Penso.
Vorrei girarmi, guardarla in faccia e mandarla garbatamente a quel paese. 
Invece no. 
Continuo a seguire la fila, entro nella navetta, mi accomodo. 
Perché non ho seguito il primo istinto? 
Adesso mi sento coinvolto in qualcosa da cui, almeno per il momento, non posso sfuggire. 
Potevo cambiare il corso delle cose, e non l’ho fatto. 
Spero di non pagarne le conseguenze.
“ Continua a guardare altrove, tranquillo, adesso si parte”. Mi ripeto.
La navetta si alza dal ponte dove era attraccata, con un ruggito e un sobbalzo. 
E’ molto più carica rispetto a questa mattina e fa fatica a prendere quota. 
Scruto fuori dal finestrino e mi accorgo che almeno ha smesso di piovere, ma il cielo è ancora carico di nuvole nere minacciose. 
Guardo ancora una volta l’immensa distesa magmatica che porta il nome di Terza Roma, e un brivido percorre il mio corpo, scosso dinanzi a tanto orrore.
Non riesco a vedere se dietro di me è effettivamente seduta la misteriosa donna, ma ho il sospetto che ci sia, anzi ne ho la certezza. 
Mi devo limitare a scendere alla mia fermata e aspettare il contatto.

“ATTERRAGGIO BLOCCO ITALIANO, ALLACCIARE LE CINTURE”. Avverte il pilota.
La navetta si appoggia dolcemente sul suolo, emettendo un suono simile ad un barrito.
Scendo dal velivolo penetrando una nuvola di fumo acre e procedo verso casa senza voltarmi, attendendo gli eventi. 
Che non tardano a manifestarsi, sotto forma di una mano che afferra il mio braccio destro.
“ Procedi, senza guardarmi, allarga la tasca del tuo cappotto. Presto!”
La voce ha perso il tono sibilante ed è divenuta più grave e definita.
Eseguo l’istruzione impartita, cercando di deviare lo sguardo per cercare di capire chi ho accanto. Vedo solo una figura indefinita, un’ombra che si affianca a me. Il buio non mi permette di distinguerne i lineamenti. Sento qualcosa che si appoggia all’interno della tasca del soprabito e, proprio in quell’attimo, provo una spiacevole sensazione di apnea.
“ Adesso vai a casa e nascondilo in un posto sicuro. Domani, recati al cyber point che si trova nel Blocco Iracheno e inseriscilo nella postazione 15. Non usarlo prima, non inserirlo altrove. E’ tutto, per ora.”
La figura abbandona la presa sul mio braccio e sfugge via veloce nell’oscurità, senza lasciarmi il tempo di parlare o di fare domande. 
Rimango fermo per un attimo e poi riprendo il cammino verso casa, con passo sempre più svelto. Tocco con la mano il piccolo involucro che è stato depositato all’interno della tasca del cappotto, cercando di capire di cosa si tratti. Sembrerebbe un microdisco.
Sicuramente è un oggetto pericoloso o compromettente.
Dovrei buttarlo via e invece continuo a camminare, raggiungendo finalmente l’ingresso della mia abitazione. 
Ho la sensazione di essere seguito, ma forse è solo una paranoia. 
Inserisco il badge, apro il portone, prendo l’elevatore, che oggi per fortuna funziona.

Ascolto distrattamente le parole di Elisabetta, che probabilmente mi parla delle gesta eroiche dei nostri teneri pargoletti. Piuttosto, la mia attenzione è catalizzata dalla televisione, che trasmette un varietà a cui partecipa oggi uno dei miei attori preferiti, lo svedese Nick Olfson. Non parla una parola di italiano e il presentatore non favorisce il colloquio, con il suo inglese elementare, ma la sua simpatia è comunque evidente, il suo volto trafigge lo schermo, come solo lui sa fare.
Comunque, non riesco a seguire e a concentrarmi. Non posso evitare di pensare all’oggetto che è stato depositato nelle tasche del mio cappotto e che non ho ancora avuto il coraggio di esaminare con attenzione. 
Sono pervaso dalla sensazione di essermi cacciato in un bel pasticcio, da cui sarà difficile uscire, vista anche la mia proverbiale buona sorte.
Continuo a desinare, per nulla infastidito dalle solite urla dei cari demonietti e dal cattivo sapore della pietanza che Elisabetta ha preparato questa sera.
“ Caro, ma mi ascolti? “. Il diverso timbro di voce di Elisabetta, imperativo direi, mi riporta ad una più coinvolta partecipazione.
“ Oh, scusami “ esordisco “ Olfson mi ha distratto un po’ “. E la guardo con aria giustificativa.
“ Sarà, ma a me sembra proprio che sei altrove….” Riprende Elisabetta.
“ Forse, vorrei esserlo…..”
Noooooo! Che casino ho fatto? Ho detto quello che penso, una volta tanto?
A queste parole, mia moglie abbassa lo sguardo per nulla sorpresa.
D'improvviso, percepisco un forte abbassamento di temperatura. 
Tirando un respiro, Elisabetta sentenzia “ Non è affatto carino quello che dici, Elio…..”
“ Scusami, sono piuttosto teso in questo periodo…..” Continuo a giustificarmi come uno scolaro che non ha studiato.
“ Elio….per il fatto che ti hanno trasferito al Centro Contabile? “. La voce di Elisabetta si fa compassionevole, è il suo momento preferito: indossare gli indumenti dell'infermiera e correre a consolare un marito chiaramente definibile in difficoltà, cercando di trovare una soluzione immediata. Lo scopo è nobile, come sempre, i risultati, invece, sono - spesso - assai scarsi.
“ Si, Elisabetta, ma non ci si può fare nulla, almeno per adesso…”.
 Mento, ma almeno raggiungerò il risultato di tranquillizzarla. 
Non posso certo raccontarle del mio incontro di oggi e dell’oggetto che mi è stato consegnato, quindi preferisco dirottare la sua attenzione su ciò che in fondo voleva sentirsi dire. 
Certe cose non riesco a condividerle con lei, è più forte di me, ed è sempre stato così. L’amo troppo per farla soffrire con i miei problemi e vederla preoccupata non mi aiuterebbe. Così, certo, escludo dei buoni suggerimenti, delle soluzioni a cui non penso, ma evito anche tensioni e piccole incomprensioni. 
Perché hai incontrato quella donna? Perché non ti sei disfatto dell’oggetto che ti ha dato? Perché non racconti tutto alla Polizia? 
Perché, perché, perché......troppi perché.
Mi alzo da tavola, senza nemmeno finire di mangiare.
Sento gli occhi di Elisabetta puntati su di me.
Mi dirigo verso la stanza da letto, apro l’armadio a muro, riprendo il cappotto e inizio a frugare nelle tasche, per recuperare quello che immagino sia un microdisk. 
E non lo trovo. 
Ricomincio a cercare, pensando che spesso mi è capitato di non trovare una cosa al primo tentativo. 
Svuoto le tasche, rivolto l’abito e nulla. 
Calma. Facciamo mente locale. 
Sono entrato in casa, ho posato il badge apriporta sul mobile in ingresso, come faccio sempre, e poi sono andato in camera per ….no, no.... ho dato il cappotto a Elisabetta…..!
“ Cerchi questo, Elio? “.
Mi volto e vedo mia moglie che rotea un dischetto digitale nella mano destra, appoggiando mollemente la spalla sinistra sullo stipite della porta.
Sento una vampata di calore pervadere il mio volto.
Credo di essere diventato multicolore. 
Il sentimento è di rabbia, misto a vergogna per essere riuscito a nascondere una cosa “segretissima” solo per pochi minuti. 
Non valgo nulla come agente segreto, ma non avevo bisogno di questa conferma.
“ Che cos’è?…” chiedo mostrando incredulità.
“ Sei tu a dovermelo dire, carino! Non sarà  ancora uno di quei sudici porno amatoriali, vero? “
Oddio e che ne so? Non ci avevo pensato….
Avevo totalmente rimosso la squallida avventura dei porno casalinghi, che smerciavo sottobanco qualche anno fa in formato microdisk oleografico, nel tentativo di rimediare un po’ di quattrini. Tristissima vicenda personale che tornava impietosamente a galla. Tra le altre cose, l'incidente mi era costato anche una piccola condanna amministrativa.
“ Ecco, io…non credo” rispondo balbettando.
“ Non sai cosa contiene questo disco? “
“ Se ti devo dire la verità, …..no. Mi è stato consegnato da un collega, in segreto, ma non so cosa contenga.” Meglio non parlare di una collega, peggiorerebbe la situazione....
“ Bene, torniamo alla caramella dagli sconosciuti! Ma sei pazzo? Qui dentro può esserci di tutto! “
Il tono di Elisabetta si è fatto odiosamente inquisitorio.
“ Mi sono state date delle istruzioni precise…..” proseguo, riducendo il tono di voce.
“ Me ne frego delle istruzioni, voglio vedere che cosa contiene, subito!! “
“ NO! “
Credo di aver cambiato volto repentinamente. Avete presente due gatti che stanno per azzuffarsi? Bene, non c’è immagine migliore per descriverci in questo momento….
“ Elisabetta” riprendo abbassando il tono della voce “ Non posso farti vedere che cosa contiene il microdisco. Posso farlo solo io, al Cyber Point che si trova nel blocco iracheno. Domani”.
Ci guardiamo ancor per qualche attimo, in silenzio.
“Elio, ti caccerai in un guaio enorme, lo so. Come se non ne avessimo abbastanza….”sospira Elisabetta, abbassando lo sguardo e restituendomi il dischetto.
“ E’ vero, siamo pieni di guai. Ma forse questo evento, così insolito per noi, cambierà le nostre vite”.
“Vuoi cambiare la tua vita? Sei infelice?” Domanda Elisabetta, riprendendo a guardare verso di me.
“ Tu sei felice?” La guardo dritta negli occhi.
“ Io si. Abbiamo una casa e dei figli. Ho te, che amo sopra ogni cosa. Il resto non conta. Perché dobbiamo cambiare tutto questo?” 
Elisabetta crede in quello che dice, non ha esitato un attimo a rispondere. 
E' fermamente convinta e mi sento così piccolo di fronte a lei in questo momento. 
Un solido monolite, contro un pupazzo di argilla.
“E’ una domanda a cui non so rispondere" riprendo dopo qualche secondo di silenzio totale. Anche i bimbi si sono fermati nei loro giochi e la televisione sembra essere muta.
Ho iniziato, devo andare avanti ormai.
"Però sento di dover cambiare la mia vita in qualche modo….E’ come se ogni giorno mi svegliassi sempre più debole, sempre più passivo. Mi sento stanco e apatico, ma non so il perché. Forse questo evento è il mio bivio. Tutti noi, in un modo o nell’altro raggiungiamo questo momento, in cui si deve fare una scelta precisa”.
Elisabetta mi osserva attonita. 
Sono sicuro che non capisce il mio punto di vista. E non trovo il modo di spiegarglielo in maniera che possa comprendere. 
Almeno per ora.
“ Domani, terminato il lavoro, andrò nel blocco iracheno, raggiungerò quel dannato cyber point e infilerò il disco nella postazione che mi è stata indicata. Lo farò e basta”.
“ Forse però…”interviene Elisabetta “stai dando un significato  eccessivo a quell’oggetto. Parli di un bivio…ma cosa ne sai? Magari è solo pornografia o peggio pedofilia….o notizie riservate di qualche cliente compromettente….”.
Osservo per un attimo il piccolo oggetto. 
Sono certo che lì dentro c’è il mio bivio.
Deve esserci per forza.

By Zoe Kipling


Ogni giorno ci troviamo di fronte a un bivio che impone una scelta, spesso semplice, ma a volte molto difficile. In qualche caso, la strada che decidiamo di prendere cambia totalmente la nostra vita. L'importante, però, è poter essere sempre noi a scegliere quale direzione seguire.

lunedì 13 febbraio 2012

THIS IS THE END, MY ONLY FRIEND


Provo a spiegare perchè, in certi casi, è preferibile rimanere soli.

(Nota dell'autore. Questo post verrà etichettato sotto: Fisse e Paranoie)

"Everytime I hear that song, it means something else to me. It started out as a simple good-bye song probably just to a girl, but I see how it could be a goodbye to a kind of childhood. I really don't know. I think it's sufficiently complex and universal in its imagery that it could be almost anything you want it to be."
(Jim Morrison – Considerazioni su “The End”)

Nel 1969, a circa due anni dalla sua prematura morte, Jim Morrison commentò in questo modo una delle più belle liriche da lui composta.
Per me, ma non pretendo affatto che tu sia d’accordo, Jim non era solo un cantante o un musicista. Era un poeta.Per questo motivo ho parlato di liriche e non di canzoni.

C'è un suo pensiero in particolare, che  racchiude e descrive tutto il personaggio, senza necessità di commenti ulteriori. 
"Se la mia poesia cerca di arrivare a qualcosa, è liberare la gente dai modi limitati in cui vede e sente". 
Questa frase la sento dentro di me, echeggiare nelle caverne della mia anima. A volte diventa come una forza potente, che preme dal basso ventre e sale verso il cuore e la testa come lava infuocata.
Credimi se ti dico che provo ogni giorno a farti toccare questa sensazione, questa emozione che tento di esprimere, con l'unico mezzo che ho: le mie parole.

Jim Morrison, nel 1970. Verso la fine.

Oggi Jim riposa in un luogo piuttosto fuori mano che ho visitato anni fa, il cimitero di Père Lachaise per la precisione, vicino a Oscar Wilde, Marcel Proust, Guillaume Apollinaire e Moliere, solo per citare i primi che mi vengono in mente. Caso curioso, ma nemmeno troppo, Morrison dorme per sempre a pochi chilometri da Charles Baudelaire, il padre dei poeti maledetti, le cui spoglie sono custodite nel piccolo campo santo di Montparnasse.
La tomba di Jim
La tomba di Jim è anonima e di ridotte dimensioni. Fai fatica a trovarla, nascosta com’è da cento altre lapidi, ed’è protetta alla bell’e meglio da alcune transenne metalliche. Rimasi alcuni minuti in silenzio ad osservare una scena tutto sommato deludente, contornata da fiori ormai secchi, vasi rotti ed erbacce maligne. Chiedendomi, come forse avranno fatto tutti, se lui fosse veramente lì sotto.  Ma questa non è la storia che ti voglio narrare.

E allora torniamo alle sue parole, con cui ho aperto questo mio dialogo con te.
Jim dice, parlando di "The End": “Ogni volta che ascolto questa canzone, mi trasmette qualcosa di diverso....” e poi prosegue: “Penso sia sufficientemente complessa e universale nella sua “immaginificità”, che potrebbe quasi significare quello che hai voglia significhi”.
La traduzione che propongo non è strettamente letterale, ma ho seguito per anni Jim Morrison, e sono sufficientemente sicuro di averlo interpretato al meglio.
Nel testo Jim parla di un serpente e invita a cavalcarlo.
"The End" è questo: un serpente che muta pelle. Una canzone che assume un significato diverso ogni volta che l’ascolti e il bello è che quel significato glielo dai tu, a seconda di come ti senti o di quello che desideri immaginare in quel momento.

Bene, ma tutto questo pilotto introduttivo, su cui – te lo confesso – indugerei per ore, è solo il preludio all’argomento di stasera.
Oggi ho pensato un pò a come avrei potuto parlarti di alcune sensazioni vissute di recente, e le parole di Jim, alla fine, mi sono sembrate adatte, anzi.....perfette.
Sensazioni fresche insomma, che sono semplici nella mia mente, eppure estremamente difficili da raccontare. Ma ci voglio provare.
Chissà cosa uscirà fuori...

Quindi, se per te va bene, parto con un’esperienza, tutto sommato abbastanza banale.
L’esperienza deriva dall’utilizzo più o meno quotidiano che faccio di internet. 
Internet. Io la vedo così.

Eh già, perchè televisione nulla, ma internet a fiumi, sia per lavoro (uso limitatissimo da super -stringenti policy aziendali), sia per informazione (da qualche parte devo pur vedere cosa accade nel mondo), sia per diletto. E qui mi voglio soffermare.
Come avrai già capito, per me internet è “buona cosa”.
Non faccio quindi parte di quella folta schiera di demonizzatori, anche se mi rendo conto che sulla rete gira di tutto e che forse, un giorno o l’altro, tutti ci siamo un pò scottati. Vuoi per aver “contratto” un virus micidiale che ha cremato l’hard disk in un nanosecondo, vuoi perchè si è proceduto ad un incauto acquisto o perchè qualcuno si è inserito nella nostra vita, senza che ne fossimo consapevoli.
Ma ha una capacità, questo dannato e, allo stesso tempo, “immaginifico” strumento. Consente l’associazione di idee, e quindi favorisce e sviluppa la capacità più sublime del nostro cervello: la capacità di pensare. Ti ricordi “Cogito ergo sum”? Se la risposta è no, vallo a leggere quando hai un pò di tempo "nullo".
Insomma, dicevo......Parti con l’idea di cercare una cosa, e poi ne trovi un’altra.
Scopri, sogni, voli.
E immagazzini una quantità formidabile di informazioni.
Più vai avanti, più ti appassioni e ti immergi nel viaggio (non a caso si dice che “navighi”), più il mondo reale intorno a te si dissolve, fino quasi a scomparire.
Scarichi una canzone che ti piace.
Poi passi su Facebook per aggiornare il tuo profilo, con informazioni su di te che avevi dimenticato di comunicare a mezzo mondo.
Ti piace un libro. Wow il prezzo è conveniente!
Prendi la carta di credito e lo compri.
Fatto! Transazione eseguita con successo!
Ehi, che bel sito! 
Che faccio? Oh, beh...dai...si, mi registro.
Uhm...Ma perchè vuole sapere delle mie abitudini sessuali? Mah....lascio vuoto, non scrivo nulla, tanto non è un campo obbligatorio.
Mi chiede la mail....stavolta lascio quella del lavoro, almeno la leggo di sicuro.
E via, via, via....via così....

Le ore passano, sempre più veloci, come le immagini e le parole che acquisisci.
I tuoi neuroni si muovono sempre più freneticamente, come solerti operai che trasportano materiali di varia natura, colore e dimensione nei magazzini della tua mente.
Miliardi di bit, un infinità di cookies e file temporanei, si depositano come polvere, insudiciando la memoria del tuo personal computer che, sempre più affaticato e appesantito, inizia a rallentare.
Guardi l’orologio, e ti accorgi che hai navigato per circa due ore, quasi inconsapevole.
Cazz....chiudiamo, ho gli occhi che bruciano.
E cerchi così di prendere sonno, a fatica, perchè ci vorrà un pò prima di far rilassare quella fabbrica che hai messo in moto nel tuo povero cervello.
Senti che stai per cedere a Morfeo, convinto che tutto quello che hai fatto su internet stasera, "potrebbe quasi significare quello che hai voglia significhi"....
Alla fine ti addormenti. Un sorriso ebete si dipinge sul tuo viso.


Ma, a tua insaputa, qualcun'altro sta cercando di completare il suo lavoro.
In quel lasso di tempo, mentre navigavi tutto felice, completamente a vista e probabilmente senza meta, qualcuno o qualcosa che non conosci e di cui non ti sei accorto, ti ha tracciato, osservato.
Qualcuno ti ha seguito......
Ha rubato frammenti di te.
Ti ha controllato.
Seguito.

Il giorno dopo, torni al lavoro e apri la posta personale, mentre ti togli una caccola dall'occhio destro e sorseggi un caffè bollente.
Tra gli altri, trovi un messaggio dall’oggetto curioso, provieniente da un tal David Hoelberg.
Pensi sia un collega dalla capogruppo statunitense e, senza pensarci troppo, apri il memo e anche l’allegato.
In un millisecondo, osservando le orrende foto che si riproducono senza che tu riesca a fermarle, ti rendi conto che l’altra sera non eri affatto solo e che
“It started out as a simple good-bye song probably just to a girl, but I see how it could be a goodbye to a kind of childhood”

This is the end, my only friend, the end
Of our elaborate plans, the end
Of everything that stands, the end
No safety or surprise, the end
I'll never look into your eyes
Again

Zoe Kipling