Quante volte accetti un sopruso, senza nemmeno accorgertene?
Una macchina che ti taglia la strada mentre sei in sella alla moto.
Tu, povero pedone, che non riesci ad attraversare quando sei sulle strisce pedonali.
Sei in fila ordinatamente alla posta e accetti, in silenzio, che il solito furbo trovi lo stratagemma per superarti.
L’elenco è infinito, lo sai bene, soprattutto – ahimè - nel Bel Paese
Stasera ti narrerò la storia di un tipo, un uomo qualunque, che, dopo aver fatto 18 giri del quartiere, tendando di trovare uno straccio di posto per parcheggiare la sua dannata auto, alla fine si rompe flauto e maracas e decide, di.....Orrore! Terrore e raccapriccio!
E’ una storia per stomaci forti, bada bene.....se già da adesso sai di non poter reggere una splatter story, molla subito! Altrimenti, ....come sempre, seguimi fino in fondo.....
Ogni sera, la stessa, dannatissima storia.
Edward, Ed per gli amici, esce la mattina alle 7.30, accompagna la figlia all’asilo, poi fa un salto al solito bar per una veloce colazione e via verso l’ufficio, con la sua auto.
Dopo una giornata di lavoro in cui, di solito, non si annoia affatto e, di tanto in tanto, si diverte persino, riprende l’auto, e corre verso casa (si fa per dire, visto il traffico).
Un giorno qualsiasi, mentre è sulla via del ritorno, imbottigliato nel caos di una megalopoli impazzita per due misere gocce di pioggia, Edward inizia tutta una serie di ragionamenti, che si muovono senza ordine e per pura associazione di idee. In fondo il cervello funziona così, pensa Ed, rendendosi conto che era partito da un tenero pensiero per sua madre, ed era giunto alla pizza che avrebbe mangiato quella sera, probabilmente abbandonato senza vita sul divano, sguardo fisso nel vuoto di BBC Children. Magari, anzi, sicuramente, difendendosi dalla figlia vorace, la quale avrebbe di certo provato a strappare un pezzetto di elemosina alimentare dalle sue mani.
Stasera sono solo con Vania, mia moglie esce con le amiche – pensa il nostro Ed – che mi invento per sopravvivere?
Ok – riprende a ragionare Ed, gettando un occhio nel retrovisore destro e accendendo una Marlboro morbida mezza ciancicata – l’ho fatto altre volte, andrà tutto bene, come sempre. Ma, nonostante questa solida consapevolezza, Edward sentiva ancora una volta quella sorta di tensione impalpabile, molto simile a quella che provava da ragazzo negli spogliatoi, pochi secondi prima di scendere in campo per una partita di pallone. Succedeva sempre ma oramai la superava alla grande.
All’ improvviso, senza nemmeno citofonare, arriva la considerazione centrale, che forse avrebbe dato un senso al suo elucubrare.
Una considerazione tremenda, per il suo grottesco realismo.
Vivo passando da una scatola all’altra, pensa d’un tratto Ed.
Mi sveglio in una scatola, calda e confortevole, dove vivo con la mia piccola famiglia. E’ la mia casa.
Lavato e stirato, passo subito in una scatola molto più piccola, con le ruote stavolta. E’ angusta, emette rumori molesti e fumi maleodoranti, però durerà poco. La scatolina ha solo il compito di trasportarmi verso un altro contenitore. Uno scatolone enorme, pieno di luci, voci e persone che mi incrociano. Mi salutano anche, a volte con un sorriso sincero, a volte distrattamente, spesso perchè deve essere fatto.
Lo scatolone sarà grande 40 volte la mia casa – riflette Ed – e ci saranno almeno trecento individui! Mamma mia!
Edward passa almeno otto ore nello scatolone incasinato, dove lavora per guadagnarsi il pane. Dopodichè, esce a passo svelto, per tornare di nuovo nella scatolina puzzolente e rumorosa con le ruote, che lo condurrà, nel giro di un ora, nella sua scatola preferita. Lì, finalmente, rivedrà sua moglie e sua figlia, per quel tempo che deve cercare di farsi bastare.
Edward è sconvolto da questo ragionamento allucinante e claustrofobico, fatto di scatole, scatoline e scatoloni. E’ turbato dal suo realismo e dal fatto che, in tanti anni, non ci aveva mai fatto caso.
Nel bel mezzo di questi bizzarri pensieri, scosso dal loro pauroso realismo, Edward si accorge di essere giunto nel suo quartiere.
E inizia a girare, girare, girare.
Uno, due, tre, quattro....
Accidenti – impreca Ed battendo un pugno sul volante – quello mi ha fregato il posto per un attimo.
Uffa, qui non entro con questo transatlantico di macchina che mi ritrovo....
Qui ci si mette giusto una smart!
Qui me la rimuovono, passo carrabile....
Cinque, sei, sette, otto....
Ma quanti handicappati ci sono in questo fottuto quartiere? Si domanda Ed.
In realtà, questa storia dei posti per disabili Edward l’ha sempre tenuta dentro, soffocando le domande e reprimendo i cattivi pensieri.
Il mio è un quartiere benestante - conviene Edward - popolato da ricchi borghesi di una certa età, oppure da studenti fancazzisti di varie provenienze, che sfruttano la vicinanza all’università.
E’ curioso, pensa ancora una volta il nostro Ed.
In alcuni punti, ci sono più paline che segnalano un posto per handicappati che alberi.
E i posti assegnati sono spesso, inesorabilmente, vuoti.
Edward riflette e conclude che questa terribile concentrazione di persone bisognose non è rilevabile in luoghi più periferici, o semplicemente popolati da gente meno abbiente.
Una coincidenza, sarà solo una casuale coincidenza. A poco a poco, Edward se ne convince e continua a girare.
Nove, dieci, undici, dodici....
E’ da almeno quindici minuti che Edward vaga per il quartiere e inizia a spazientirsi.
Nel frattempo la pioggia cade sempre più fitta e batte forte sul corpo della macchina. Altre anime dannate, sole e inscatolate esattamente come Ed, incominciano a guidare in maniera convulsa e scomposta, creando traffico isterico.
Stanno tutti cercando posto come me. Edward ne è certo.
Tredici, quattordici, quindici, sedici....
Ogni volta che Ed passa per alcune strade, osserva bramoso quei maledetti posti delimitati da linee gialle, così belli, puliti, spaziosi, VUOTI. E inizia a ricollegare che...
Ma si...ehi è vero! Sono sempre gli stessi! Riflette Ed, pervaso da una satanica eccitazione.
Sono vuoti ad ogni ora!
Sono passato la mattina, il pomeriggio, la sera, la notte....sempre VUOTI!!!
Diciasette, diciotto....
Sono sfinito, pensa Ed rassegnato, ora butto la scatolina con le ruote su una fermata del bus e vaff.....ma, non sono libere nemmeno quelle....
Ehi! Una macchina si posiziona su un posto per disabili! E’ uno di quelli sempre vuoto!
Edward non resiste, vuole vedere in faccia il padrone dello spazio riservato e accosta, proprio accanto, in un altro posto handicappati limitrofo e – ovviamente – vuoto, disponibile.
Il simbolo stilizzato dell’uomo sulla carrozzella è esposto, ben visibile, sul deflettore posteriore.
Scendono i disabili.
E’ una coppia distinta sulla sessantina, che con lestezza si accinge a scaricare diverse buste molto voluminose, piene di derrate alimentari.
La pioggia cade con forza. Esattamente quella che sprigionano i due “disabili”, mentre raccolgono da terra la loro ricca spesa.
Edward pensa che si siano fermati lì solo per scaricare, ma non può rimanere con il dubbio e quindi abbassa il finestrino.
“Scusate signori” esordisce educatamente Edward, sfoderando un sorriso adatto alla circostanza
“Perdonate il disturbo. Questo posto è vostro?”
L’uomo si gira. Edward fa fatica a vedere il suo volto, coperto da una sciarpona imponente, probabilmente di cashmere.
“Certamente” risponde il tipo con aria seccata, abbassando lo sciarpone e scopredo il viso “Vuol vedere la concessione?”
Abbozza un’occhiata d’intesa verso la moglie, che ricambia con un sorrisino fastidiosissimo.
In altri tempi, Edward sarebbe sceso e avrebbe parlato ancora, discusso. Ma adesso era molto stanco.
Una macchina che ti taglia la strada mentre sei in sella alla moto.
Tu, povero pedone, che non riesci ad attraversare quando sei sulle strisce pedonali.
Sei in fila ordinatamente alla posta e accetti, in silenzio, che il solito furbo trovi lo stratagemma per superarti.
L’elenco è infinito, lo sai bene, soprattutto – ahimè - nel Bel Paese
Stasera ti narrerò la storia di un tipo, un uomo qualunque, che, dopo aver fatto 18 giri del quartiere, tendando di trovare uno straccio di posto per parcheggiare la sua dannata auto, alla fine si rompe flauto e maracas e decide, di.....Orrore! Terrore e raccapriccio!
E’ una storia per stomaci forti, bada bene.....se già da adesso sai di non poter reggere una splatter story, molla subito! Altrimenti, ....come sempre, seguimi fino in fondo.....
Ogni sera, la stessa, dannatissima storia.
Edward, Ed per gli amici, esce la mattina alle 7.30, accompagna la figlia all’asilo, poi fa un salto al solito bar per una veloce colazione e via verso l’ufficio, con la sua auto.
Dopo una giornata di lavoro in cui, di solito, non si annoia affatto e, di tanto in tanto, si diverte persino, riprende l’auto, e corre verso casa (si fa per dire, visto il traffico).
Un giorno qualsiasi, mentre è sulla via del ritorno, imbottigliato nel caos di una megalopoli impazzita per due misere gocce di pioggia, Edward inizia tutta una serie di ragionamenti, che si muovono senza ordine e per pura associazione di idee. In fondo il cervello funziona così, pensa Ed, rendendosi conto che era partito da un tenero pensiero per sua madre, ed era giunto alla pizza che avrebbe mangiato quella sera, probabilmente abbandonato senza vita sul divano, sguardo fisso nel vuoto di BBC Children. Magari, anzi, sicuramente, difendendosi dalla figlia vorace, la quale avrebbe di certo provato a strappare un pezzetto di elemosina alimentare dalle sue mani.
Stasera sono solo con Vania, mia moglie esce con le amiche – pensa il nostro Ed – che mi invento per sopravvivere?
Ok – riprende a ragionare Ed, gettando un occhio nel retrovisore destro e accendendo una Marlboro morbida mezza ciancicata – l’ho fatto altre volte, andrà tutto bene, come sempre. Ma, nonostante questa solida consapevolezza, Edward sentiva ancora una volta quella sorta di tensione impalpabile, molto simile a quella che provava da ragazzo negli spogliatoi, pochi secondi prima di scendere in campo per una partita di pallone. Succedeva sempre ma oramai la superava alla grande.
All’ improvviso, senza nemmeno citofonare, arriva la considerazione centrale, che forse avrebbe dato un senso al suo elucubrare.
Una considerazione tremenda, per il suo grottesco realismo.
Vivo passando da una scatola all’altra, pensa d’un tratto Ed.
Mi sveglio in una scatola, calda e confortevole, dove vivo con la mia piccola famiglia. E’ la mia casa.
Lavato e stirato, passo subito in una scatola molto più piccola, con le ruote stavolta. E’ angusta, emette rumori molesti e fumi maleodoranti, però durerà poco. La scatolina ha solo il compito di trasportarmi verso un altro contenitore. Uno scatolone enorme, pieno di luci, voci e persone che mi incrociano. Mi salutano anche, a volte con un sorriso sincero, a volte distrattamente, spesso perchè deve essere fatto.
Lo scatolone sarà grande 40 volte la mia casa – riflette Ed – e ci saranno almeno trecento individui! Mamma mia!
Edward passa almeno otto ore nello scatolone incasinato, dove lavora per guadagnarsi il pane. Dopodichè, esce a passo svelto, per tornare di nuovo nella scatolina puzzolente e rumorosa con le ruote, che lo condurrà, nel giro di un ora, nella sua scatola preferita. Lì, finalmente, rivedrà sua moglie e sua figlia, per quel tempo che deve cercare di farsi bastare.
Edward è sconvolto da questo ragionamento allucinante e claustrofobico, fatto di scatole, scatoline e scatoloni. E’ turbato dal suo realismo e dal fatto che, in tanti anni, non ci aveva mai fatto caso.
Nel bel mezzo di questi bizzarri pensieri, scosso dal loro pauroso realismo, Edward si accorge di essere giunto nel suo quartiere.
E inizia a girare, girare, girare.
Uno, due, tre, quattro....
Accidenti – impreca Ed battendo un pugno sul volante – quello mi ha fregato il posto per un attimo.
Uffa, qui non entro con questo transatlantico di macchina che mi ritrovo....
Qui ci si mette giusto una smart!
Qui me la rimuovono, passo carrabile....
Cinque, sei, sette, otto....
Ma quanti handicappati ci sono in questo fottuto quartiere? Si domanda Ed.
In realtà, questa storia dei posti per disabili Edward l’ha sempre tenuta dentro, soffocando le domande e reprimendo i cattivi pensieri.
Il mio è un quartiere benestante - conviene Edward - popolato da ricchi borghesi di una certa età, oppure da studenti fancazzisti di varie provenienze, che sfruttano la vicinanza all’università.
E’ curioso, pensa ancora una volta il nostro Ed.
In alcuni punti, ci sono più paline che segnalano un posto per handicappati che alberi.
E i posti assegnati sono spesso, inesorabilmente, vuoti.
Edward riflette e conclude che questa terribile concentrazione di persone bisognose non è rilevabile in luoghi più periferici, o semplicemente popolati da gente meno abbiente.
Una coincidenza, sarà solo una casuale coincidenza. A poco a poco, Edward se ne convince e continua a girare.
Nove, dieci, undici, dodici....
E’ da almeno quindici minuti che Edward vaga per il quartiere e inizia a spazientirsi.
Nel frattempo la pioggia cade sempre più fitta e batte forte sul corpo della macchina. Altre anime dannate, sole e inscatolate esattamente come Ed, incominciano a guidare in maniera convulsa e scomposta, creando traffico isterico.
Stanno tutti cercando posto come me. Edward ne è certo.
Tredici, quattordici, quindici, sedici....
Ogni volta che Ed passa per alcune strade, osserva bramoso quei maledetti posti delimitati da linee gialle, così belli, puliti, spaziosi, VUOTI. E inizia a ricollegare che...
Ma si...ehi è vero! Sono sempre gli stessi! Riflette Ed, pervaso da una satanica eccitazione.
Sono vuoti ad ogni ora!
Sono passato la mattina, il pomeriggio, la sera, la notte....sempre VUOTI!!!
Diciasette, diciotto....
Sono sfinito, pensa Ed rassegnato, ora butto la scatolina con le ruote su una fermata del bus e vaff.....ma, non sono libere nemmeno quelle....
Ehi! Una macchina si posiziona su un posto per disabili! E’ uno di quelli sempre vuoto!
Edward non resiste, vuole vedere in faccia il padrone dello spazio riservato e accosta, proprio accanto, in un altro posto handicappati limitrofo e – ovviamente – vuoto, disponibile.
Il simbolo stilizzato dell’uomo sulla carrozzella è esposto, ben visibile, sul deflettore posteriore.
Scendono i disabili.
E’ una coppia distinta sulla sessantina, che con lestezza si accinge a scaricare diverse buste molto voluminose, piene di derrate alimentari.
La pioggia cade con forza. Esattamente quella che sprigionano i due “disabili”, mentre raccolgono da terra la loro ricca spesa.
Edward pensa che si siano fermati lì solo per scaricare, ma non può rimanere con il dubbio e quindi abbassa il finestrino.
“Scusate signori” esordisce educatamente Edward, sfoderando un sorriso adatto alla circostanza
“Perdonate il disturbo. Questo posto è vostro?”
L’uomo si gira. Edward fa fatica a vedere il suo volto, coperto da una sciarpona imponente, probabilmente di cashmere.
“Certamente” risponde il tipo con aria seccata, abbassando lo sciarpone e scopredo il viso “Vuol vedere la concessione?”
Abbozza un’occhiata d’intesa verso la moglie, che ricambia con un sorrisino fastidiosissimo.
In altri tempi, Edward sarebbe sceso e avrebbe parlato ancora, discusso. Ma adesso era molto stanco.
Però, .....quell’occhiatina irriverente, quel sorrisino beffardo.....quella mancanza di rispetto totale, assoluta, per lui, ma soprattutto per chi è veramente malato e magari non ha santi in paradiso, non solo per un dannato posto auto, ma per tutto, per ogni cosa che fa e situazione che affronta.
Edward si rimette in moto, cupo e pervaso da brutti sentimenti.
Edward si rimette in moto, cupo e pervaso da brutti sentimenti.
Per molto meno, in passato, Edward avrebbe usato le mani, o peggio.
Ora, però, era un padre di famiglia.
Doveva passare oltre e cercare solo di rientrare nella sua scatola, senza portare guai al seguito.
L’ascensore è guasto.
Nove piani a piedi, più uno.
Zoe
sei un geniale psicopatico sottoscrivo :)
RispondiEliminaNo Nena, non è psicopatico, ha soltanto il lato oscuro un pochino accentuato :-)
EliminaMentre leggevo sorridevo perche' e' esattamente quello che mi succede quelle poche volte che prendo la macchina... bravissimo
RispondiEliminaGrazie, la storia è reale.....eccetto l'epilogo (?) ;-)
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