Zoe ha gli occhi aperti sul mondo

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venerdì 9 marzo 2012

VERSO LA LIBERTA' - ATTO QUARTO


Giuseppe si spostò verso prua per osservare la terra in avvicinamento
Le bianche case di Milazzo erano ormai ben visibili, e si intravedeva perfettamente il porto pieno di imbarcazioni di ogni genere e dimensione, nonchè tutto lo spazio di attracco, affollato di persone indaffarate, mezzi in movimento e merci depositate sui moli.
Giuseppe decise di ritornare velocemente a poppa, per dare un ultimo saluto a Lipari, ma rimase deluso.Non si vedeva più, anche perchè oramai nascosta dall’isola di Vulcano e il capo di Milazzo.
Peccato, ma in fondo aveva passato tutta la traversata, quasi due ore, con lo sguardo fisso verso quello che per tre anni fu il suo confino.
Una prigionia dorata, ove avvertì solo due fastidi: la netta privazione della libertà, non in tutte le forme possibili ma in molte,  e gli spazi ristretti. Novanta chilometri quadrati di terra e poco meno di quindicimila anime. La Roma che aveva lasciato volava ben oltre i 700.000 abitanti. Con i suburbi forse si poteva arrivare a 800.000, ma nessuno poteva dirlo con precisione.
Tra i vari amici e persone per bene che Giuseppe aveva potuto conoscere in quel periodo di sordida reclusione e silenzio, un uomo in particolare lo aveva magnetizzato totalmente.
Forse, ma non era mai stato certo, se ne era segretamente innamorato. Ma, per sua sventura, era un pieno esempio di eterosessualità, un uomo affascinante, molto amato dalle donne. E lui amava molto loro, tutte, senza distinzione.
Aveva diverse cose in comune con Giuseppe, in primis l’essere toscano. Lui era originario di Prato. Lo superava in cultura e di parecchio, perchè non era uno scrittore semi-dilettante come lui, che scriveva per un giornaletto clandestino (che fu la principale causa del suo confino politico). Era uno scrittore vero e anche un giornalista. Aveva pubblicato libri vendutissimi e scritto per testate importanti.
Però Giuseppe non veniva mai messo in condizione di inferiorità, anzi, si sentiva molto spesso valorizzato per le sue idee e per i suoi scritti.
Un’altra cosa che i due avevano in comune era la marcia su Roma, e la piena adesione ai Fasci di Combattimento.
Erano rimasti attratti entrambi da quel fresco idealismo e dall’utopia di poter contribuire a creare “l’Uomo Nuovo”. Anche se in momenti diversi, entrambi videro la fede crollare, quando scoprirono che all’originario, e quasi spontaneo movimento, si stava rapidamente sostituendo un regime sempre più totalitario e autoritario.
Giuseppe abbandonò formalmente ogni incarico di attivista nei primi mesi del 1923, poco tempo dopo la strage di S. Lorenzo e la morte di Nino. Ne uscì con la menzogna, adducendo necessità familiari. Ma in realtà perchè, alla fine, tutta quella violenza e quell’odio crescente, non gli appartenevano nemmeno un pò. Lui si sentiva socialista come il primo Mussolini, che mai rinnegò, e vedeva nel fascio quegli ingredienti che completavano la ricetta per un futuro migliore.
No, non erano solo belle uniformi e marce paramilitari dove si sentiva osservato da tutti.
Ordine, nazione, patria, famiglia, tutela e valorizzazione di quel ceto medio, a cui apparteneva e che non aveva alcuna identità, schiacciato sempre più da ricchi troppo ricchi e poveri troppo poveri.
Vedeva nel Fascio un formidabile “terzo attore”, che avrebbe sicuramente impedito alla sua classe sociale di precipitare verso il proletariato e perdere tutti i suoi piccoli ma importanti privilegi.
Nonostante l’abbandono dell’impegno attivo, che gli costò qualche mese di sorveglianza segreta, nonchè l'impossibilità di frequentare quartieri come S.Lorenzo (pieno di bolscevichi), decise di mantenere la tessera del Partito Nazionale Fascista. Il che gli fece ottenere – nel 1924 – un incarico di maestro elementare supplente. Dopo il 1925, quella tessera divenne l’unico modo per sperare di ottenere un lavoro.
Giuseppe condusse alcuni anni nel più completo e infelice oblio, prima di decidersi finalmente a riemergere dalla pozza di fango in cui si era immerso, un pò per paura, un pò per rassegnazione, molto per sfiducia nei suoi mezzi.
Invece, e come si sarà già capito, il suo amico di Lipari era una persona importante.
Dall’isola riusciva persino a far avere i suoi pezzi al Corriere della Sera, usando un bizzarro pseudonimo, "Candido". Era stato – udite – direttore della Stampa e fervido sostenitore della dittatura Fascista, almeno fino al 1925.
Ma era una testa che non smetteva mai di pensare, elaborare, creare e capire.
E alla fine, così come appoggiò le originarie idee, allo stesso modo le contrastò.
E fu confino anche per Kurt, così si chiamava questo amico che visse con lui nell’isola, in una casetta modesta, a poche decine di metri dalla sua, dal 1933 al 1936.
Giuseppe lasciò Lipari solo qualche giorno prima di Kurt, che mezzo mondo conosceva come Curzio.


Il traghetto, intanto, attraccava nel porto di Milazzo



Curzio Malaparte, uno dei più importanti giornalisti del XX secolo, ritratto a Lipari nel 1934, durante il suo confino

1 commento:

  1. Le foto sono spettacolari! Attendo con trepidazione il resto... ;-)

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